Ciclo di incontri nelle scuole di roma nord – Ad un anno dal terremoto

 
Siamo andati nelle zone terremotate con macchine cariche di aiuti raccolti da associazioni e collettivi romani nei giorni immediatamente successivi al dramma.
Il nostro impegno è poi proseguito oltre i primi giorni d’emergenza sia a Roma con l’esperienza dei centri di raccolta sia in Abruzzo dove alcuni di noi hanno passato anche mesi.
Ci siamo imbarcati in questa avventura spinti da quello che consideriamo un umanissimo sentimento di solidarietà, ma non per questo ci siamo limitati a vivere con ingenuità caritatevole il nostro impegno.
Eravamo coscienti di quanto la realtà che andavamo ad affrontare non era una realtà neutra.
Le cause dei danni spropositati prodotti dal terremoto e le politiche di aiuti e ricostruzione sono legate da un unico filo.
Vogliamo ora condividere la nostra esperienza e tutte le valutazioni e idee che ci siamo riportati a casa da un rapporto che ancora continua con le associazioni abruzzesi.
L’intervento in Abruzzo della protezione civile, dell’esercito, del governo si è da subito caratterizzato per un forte autoritarismo che ha escluso, ed esclude ancora, tutti i cittadini dalla gestione di ogni aspetto della loro vita, e quindi dalla progettazione del loro futuro.
Queste stesse logiche che tendono ad eliminare qualsiasi partecipazione attiva sono le stesse che hanno prodotto i disastri dell’ospedale o della casa dello studente, o che dominano l’agire di quegli imprenditori che abbiamo sentito ridere in quelle agghiaccianti intercettazioni.
Le stesse logiche che oggi gli abruzzesi stanno cercando di rompere rivendicando il loro diritto alla partecipazione.
Alle popolazioni terremotate è stata sottratta qualsiasi possibilità di decisione sul futuro della loro terra, ed anzi oggi vediamo come i piani del governo siano quanto di più distante dalle esigenze degli abruzzesi mentre sono pericolosamente vicini alle esigenze dell’imprenditoria.
Dai primi campi alle “new town” la gestione militare del territorio ha impedito o ostacolato le forme collettive di attivazione, dimenticando (o forse no) che la rinascita di quelle zone non è certo solo economica ed edilizia ma sopratutto civile e sociale.
L’Aquila e i piccoli centri sono abbandonati a morire mentre vengono costruite orribili e alienanti “new town” che non potranno certo ricreare neanche un minimo di tessuto sociale e questo perchè da un punto di vista imprenditoriale le “new town” sono molto più redditizie.
E mentre i cittadini abruzzesi reclamano le loro città abbandonate i media riportano un immagine del terremoto edulcorata e pacificata, che ha avuto il suo apice nell’inutile g8 dell’Aquila, utile a neutralizzare la percezione del terremoto assecondando così il processo di esclusione della partecipazione attiva.

 
 

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